LA STORIA DI LAURA

Questa è la breve storia della dolcissima Laura, una bambina pugliese della provincia di Taranto, nata nel mese di febbraio del 2017 ed affetta da una malattia genetica rara: la mutazione de novo del gene Syngap1.

Laura nasce da una seconda gravidanza, dopo un sofferto primo aborto spontaneo della mamma; figlia primogenita, oggi ha un fratellino più piccolo, nato nel 2019, di 3 anni appena compiuti, in buona salute. Gravidanza normo-decorsa, salvo diabete gestazionale tenuto sotto controllo con sola dieta ipoglicemica. Laura nasce da parto spontaneo, dopo un lungo travaglio, ma pare nella norma secondo i medici. Alla nascita non manifesta particolari problemi, a parte un leggero ittero ed essere particolarmente dormiente nelle sue prime ore di vita. Per il resto, tutti i controlli effettuati i primi giorni danno buon esito e non si manifestano problemi di suzione. Laura si attacca subito al seno della mamma e assumerà latte materno fino a 16 mesi di vita, finché sua madre non scopre di essere in attesa del fratellino. La sospensione improvvisa dell’allattamento non genera in Laura particolari reazioni, in linea con la sua indole di non manifestare le sue necessità e desideri.

Nei primi mesi di vita, Laura sembra una bambina “normalissima”, nessun problema di crescita o di salute. L’unico campanello d’allarme è lanciato dalla sua pediatra di base all’età di 3 mesi, che osserva che non ha ancora acquisito il “controllo del capo” e pertanto inizia a parlare di “ritardo nell’acquisizione delle tappe motorie”. Senza ancora troppo allarmismo, la pediatra prescrive degli esercizi per rafforzare il tono muscolare, ma non ritiene ancora il momento di farla vedere da una specialista, nonostante la marcata ipotonia. I genitori sono un tantino amareggiati, ma non nutrono al momento particolare preoccupazione, ancora ignari (come tutti) della malattia rara di cui è affetta la piccina.

Laura continua a crescere come una bambina tranquilla, forse “troppo tranquilla” con il senno di poi… Interagisce con lo sguardo, fa grandi sorrisi ai familiari, ama le canzoncine, i video, le luci…ma resta piuttosto pigra nei movimenti. Anche il più semplice giocattolo sembra pesare come un macigno quando lo maneggia; si accontenta sempre degli oggetti in vicinanza, senza sforzarsi a raggiungere altri giochi di interesse, ad esempio, se è nel box.

Arriva il giorno del controllo pediatrico previsto per i 6 mesi. La pediatra questa volta è un po’ più definitiva ed inizia a parlare di un “ritardo psico-motorio”. Laura regge meglio il capo, ma è ben lontana dal raggiungere la posizione da “seduta”, tappa motoria normalmente già raggiunta per la specifica età. Laura non accenna neanche ad alcuna forma di lallazione. Oltre che continuare con gli esercizi casalinghi al momento del cambio, per rafforzare la muscolatura, viene consigliato di consultare un neuropsichiatra infantile per effettuare una valutazione.

All’età di circa 8 mesi, Laura viene vista da uno specialista NPI in un ospedale regionale, indicato dalla stessa pediatra. L’anziano medico, seppur senza alcun supporto di un TNPEE (Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva), non rileva nella bambina profili di rilevanza patologica, salvo un leggero tremore nell’afferrare gli oggetti, l’unica ragione per cui suggerisce un nuovo controllo – a discrezione di pediatra e genitori – a distanza di circa 6 mesi. Dopo questo referto specialistico non preoccupante, la pediatra continua comunque a segnare sul libretto sanitario di Laura la locuzione “ritardo psicomotorio” ad ogni controllo ambulatoriale.

Passano i mesi, Laura continua a crescere tranquilla tra l’affetto di genitori, nonni e zii, sorridente ed in buona salute, ma resta piuttosto stazionaria sotto il profilo motorio e comunicativo, con particolare riferimento all’assenza di linguaggio… Laura non ha mai neanche portato oggetti o cibo alla bocca. Non ha problemi di crescita, ma di fatto “subisce” i pasti, sempre imboccata, distratta dai video di canzoncine per bimbi; non manifesta, neanche a gesti, i bisogni primari quali ad esempio la fame e la sete. A questo punto anche i genitori iniziano seriamente ad allarmarsi, realizzando che probabilmente qualcosa che non va in Laura effettivamente ci sia… Fissano pertanto quel controllo con il NPI; la bambina, all’età ormai di 14 mesi, viene valutata per la seconda volta nella stessa struttura ospedaliera e dallo stesso medico, che questa volta ravvisa effettivamente alcune problematiche nel percorso evolutivo; si rifiuta però di usare il termine “ritardo”, di cui i pediatri “abusano” troppo secondo la sua opinione, e che definisce proprio del lessico “ferroviario”… Tra quello che osserva, sempre senza il supporto di un TNPEE o di altra figura ausiliaria analoga, gli desta più preoccupazione che la bambina non indichi per nulla, non usi il cosiddetto “pointing”, oltre ad un’assenza di lallazione e un ritardo nell’acquisizione degli schemi motori. La sua diagnosi è “disturbo di regolazione di tipo iporeattivo”. Come terapia suggerisce un ciclo di sedute di psicomotricità e la frequentazione assidua di una ludoteca, in luogo di lasciare la bambina con nonna materna e zia quando la mamma è a lavoro. Quest’ultima indicazione dal momento che i bambini imparano tanto per imitazione, e che ad avviso di questo medico, la piccola frequentava troppo solo adulti. Insomma in soldoni, per questo medico era solo un problema di “stimoli” e di “pigrizia” … Con il tempo i genitori capiranno che non esistono “bambini pigri“, ma piuttosto “bambini che hanno difficoltà…“. Lo stesso medico fornisce il nominativo di una sua collega NPI, appartenente ad un distretto sanitario più vicino alla residenza della famiglia, da contattare per la psicomotricità. La famiglia contatta immediatamente questa dottoressa per concordare le sedute di terapia, ma la stessa pretende di visitare in prima persona la bambina, prima di prenderla effettivamente in carico, anche per confermare o meno la diagnosi riferita e definire il più opportuno trattamento. A circa una settimana di distanza, Laura, accompagnata da entrambi i genitori, si presenta a visita neuropsichiatrica presso un centro specialistico in un comune della provincia di residenza, dove la accoglie una giovane e sorridente dottoressa. Questa volta la visita è molto più meticolosa ed avviene anche con l’assistenza di un TNPEE, prima n palestra e poi in ambulatorio dove vengono effettuati anche una serie di test di cognitivi. Terminata la visita, la dottoressa e il tecnico assistente chiedono alla famiglia qualche (interminabile) minuto di attesa per scrivere il referto. La madre avverte già un magone, prima ancora che si riaprisse quella porta… Poi la doccia fredda: “…Mi dispiace ma non sono affatto d’accordo con l’altro collega… Qui c’è un evidente ritardo psicomotorio globale… bisogna approfondire“. Vengono prescritti alcuni esami d’urgenza: elettroencefalogramma con privazione del sonno (per evidenziare eventuali anomalie neurologiche) ed ecografia encefalica transfontanellare (in luogo della più invasiva risonanza, per rilevare eventuale danno cerebrale perinatale, dal momento che la bambina ha ancora la cd. “fontanella” aperta). Viene prescritto di iniziare con urgenza un percorso di riabilitazione, ovvero trattamenti di psicomotricità, logoterapia e fisiokinesiterapia. Causa lunghe liste di attesa, tenera età della bambina e, soprattutto, assenza di diagnosi specifica, il centro di riabilitazione Asl comunale nell’immediato può prendere in carico Laura solo per un ciclo di 24 sedute di FKT, vista la priorità di acquisire le tappe motorie fondamentali. Gli esami strumentali prescritti, eseguiti nei successivi giorni con tanta ansia nel cuore, non rilevano niente di patologico, il che fa illudere i genitori che in realtà Laura non abbia niente di grave, e che questo suo “ritardo” possa essere recuperato iniziando le dovute terapie. L’”allarme” quindi rientra per qualche settimana.

La bambina inizia la fisioterapia presso un centro ASL ed integra anche il trattamento con uno psicomotricista privato. La terapia d’urto da i primi buoni risultati; Laura fa notevoli progress: stabilizza la posizione seduta, inizia a rotolare, a fare passaggi autonomi alla posizione sdraiata e seduta. Nessun progresso invece, fronte linguaggio. Nel frattempo la mamma di Laura si accorge di essere in attesa di un altro bambino tra felicità, ansia e paure.

La bambina ritorna al controllo dalla NPI dell’Asl della provincia tarantina; la dottoressa riconosce il miglioramento, ma non è sufficiente per uscire dal tunnel, in realtà il vero calvario non era ancora iniziato. Essendo arrivata all’età di 18 mesi, considerato dai neurologi infantile, uno spartiacque per definire la certezza di un ritardo psicomotorio, consiglia un urgente ricovero per approfondire le cause di questo ritardo. Anche alla luce della nuova gravidanza, con la paura che si tratti di qualcosa di ereditario, i genitori si mettono in moto per fare un urgente ricovero per fare accertamenti diagnostici. Il 4 ottobre del 2018, all’età di 18 mesi, Laura viene ricoverata nel reparto di neuro riabilitazione multidisciplinare di un noto ospedale pediatrico, dove resterà per ben 5 settimane. Agli esami diagnostici è affiancata terapia di psicomotricità. Vengono eseguiti esami ematici ad ampio spettro anche per eventuali malattie metaboliche. Vengono eseguiti controllo della vista, test audiometrici, valutazione logopedica. Successivamente viene anche avviato un trattamento per la disfagia (non essendo ancora in grado di masticare) con pranzo assistito da logopedisti specializzati …. Non emerge nulla di rilevante. I tempi del ricovero si allungano perché la risonanza cerebrale – l’esame più atteso – viene sempre rimandato, in favore di altri piccoli pazienti ritenuti “più gravi”, dato che la bambina a parte il ritardo psicomotorio è in apparente buona salute. Visto che il travaglio era stato problematico e a 40 giorni la bambina era diventata cianotica per qualche secondo, apparentemente a seguito di un lavaggio nasale, la famiglia non intende firmare le dimissioni senza aver eseguito la risonanza per scongiurare lesioni o malformazioni cerebrali. A tre settimane dall’ingresso in ospedale viene programmato nel frattempo l’elettroencefalogramma in sonno ed in veglia; tale esame non spaventa la famiglia in quanto Laura aveva effettuato un “eeg con privazione del sonno” qualche mese prima, nell’ospedale di Taranto, con referto “attività ipnica nella norma“. A qualche giorno dall’esame, eseguito solo in presenza del tecnico, la neurologa/epilettologa addetta alla refertazione si precipita nella stanza di degenza di Laura durante l’ora del pranzo, urlando con tono quasi seccato “… Laura L…………..i? Ma insomma questa bambina non ha mai fatto un eeg…????“… Cala il gelo, la mamma posa il cucchiaio con cui stava imboccando la figlia e risponde alla dottoressa “Sì, ha eseguito un eeg in sonno a maggio ed era nella norma…” e tira fuori il precedente referto dalla cartellina per farlo visionare. La dottoressa ribatte “…Il sonno è sovrapponibile, anche se non è corretto parlare di attività nella norma come refertato…è un’attività lenta, non ben organizzata per l’età…ma il problema serio è la veglia, per cui qui non vedo registrazione…Questa bambina ha proprio le ASSENZE tipiche…non è possibile, così tante…dobbiamo ripetere l’esame in mia presenza”. I genitori si chiedevano cosa fossero in sostanza queste “assenze” di cui non avevamo mai sentito parlare… Finora da “ignoranti” avevano sentito parlare solo di crisi convulsive che per loro era l’unico sinonimo di epilessia… L’esame viene ripetuto nell’immediato anche con Stimolazione Luminosa Intermittente (SLI) …il tracciato infausto è confermato… Laura presenta in veglia molteplici “scariche” sul tracciato eeg che ed in quel momento che i genitori riescono a cogliere cosa siano queste assenze, che allora erano quasi impercettibili, dell’ordine di qualche secondo con sguardo fisso verso l’alto, blinking oculare (strizzamento rapido e ripetuto degli occhi), staring (congelamento arresto psicomotorio)… Ma questi momento, seppur frequenti, erano così rapidi che neanche il personale medico se ne era reso conto fino a quel momento, se non ci fosse stata la correlazione con il tracciato eeg. Di qui Laura inizia ad assumere farmaci antiepilettici. Scoperta l’epilessia, Laura riacquista priorità per la programmazione della risonanza cerebrale, che farà qualche giorno più tardi in anestesia totale. Quest’ultimo esame è nella norma: non rileva alcuna malformazione o lesione. Di qui prende piede la quasi certezza che i problemi di Laura siano di natura genetica. Due giorni dopo le dimissioni viene prenotata una consulenza genetica. La visita non rileva riconducibilità a sindromi stando l’aspetto di Laura, che fisicamente non ha alcun difetto o caratteristica particolare, né problemi di crescita; neanche l’anamnesi familiare è di interesse; l’unica base di partenza sono le anomalie del tracciato eeg. La genetista preleva un campione di sangue da Laura e dai suoi genitori, cosa che in genere si fa solo dopo aver riscontrato anomalie nel paziente figlio, ma considerata la gravidanza quasi a termine della madre, la genetista fa un’eccezione…. Si decide di indagare la genetica di base e la delezione del cromosoma 15 (da quest’ultimo esame i genitori capiranno, approfondendo in autonomia, che il sospetto era la sindrome di Angelman, di cui nessuno fra il personale medico fa parola direttamente). Al congedo la genetista sembra tanto disponibile, lascia il suo contatto email per informarsi sui tempi e sugli esiti. Passano i mesi, la genetista non risponde alle ripetute email della madre di Laura che è in pena per i risultati. Nel frattempo nasce il fratellino di Laura, e per la terapia e i controlli elettroencefalografici, la bambina viene seguita in centri specialistici del territorio. I neurologi di riferimento delle strutture pugliesi sono concordi su una cosa: nell’ospedale del lungo ricovero non hanno indagato dal punto di vista genetico, tutto quello che si poteva indagare sulla base di un quadro di epilessia, perché esistono tante sindromi “Angelman like”, fra l’altro la delezione del cromosoma 15 con il metodo prescritto non andava a rilevare eventuali mutazioni puntiformi della stessa sindrome. Nessuno però avrebbe prescritto ulteriori indagini genetiche con altri esami in corso, i cui risultati non erano ancora noti. Stante il silenzio tombale della genetista e l’impossibilità di contattarla o avere i risultati attraverso altri canali ufficiali, la famiglia di Laura riesce a prenotare (non poca fatica e telefonate), un Day-Hospital di controllo dove la bambina era stata ricoverata 6 mesi prima. In questa occasione scoprono che i risultati genetici sono pronti e dimessi dal DH, ci si reca, con il cuore in gola, a ritirare il tanto trepidato referto dato che la neurologa ha fissato in giornata un appuntamento con la genetista. I risultati non portano a nulla: cariotipo normale, delezione cromosoma 15 non riscontrata; solo qualche microduplicazione ereditata dai genitori sani e quindi non patologica … La genetista dell’ospedale li congeda dicendo che non saprebbe cos’altro cercare, che altri esami fare e che si sarebbero potuti aggiornare fra un paio di anni, verificando le ulteriori prospettive in più della genetica… I genitori sapevano già che era una bugia, che Laura avrebbe potuto fare già da allora il cosiddetto “PANNELLO EPILESSIA”, ma volendo tagliare i ponti con quella struttura per il pessimo servizio, lasciano correre e si fingono ignoranti: avrebbero fatto gli ulteriori esami in Puglia….I genitori tirano comunque un sospiro di sollievo, uscendo dallo studio della genetista, ma di fatto si era punto a capo: i problemi di Laura non avevano ancora un nome e un cognome ma esistevano comunque. La madre prova però tanta rabbia leggendo che il referto era pronto dopo un solo mese e ne erano passati 6 di mesi, senza risposte; si sarebbe potuto andare avanti con le indagini … Ottenuto comunque questo benedetto primo referto genetico, riescono a programmare un ricovero a luglio 2019 in un ospedale regionale per eseguire il già citato “pannello epilessia” , dove per un banale prelievo ematico Laura è costretta ad una settimana di ricovero, assistita dalla zia materna per via del fratellino piccolino. A distanza di un paio di mesi, vengono chiamati i genitori per effettuare il prelievo per la genetica: sono state trovate in Laura alcune anomalie e va verificata la presenza delle stesse anche nel loro DNA. A distanza di 5 settimane arriva la telefonata della neuropsichiatra infantile della struttura che mette un punto alla ricerca della causa del ritardo e dell’epilessia: Laura ha una mutazione de-novo del gene Syngap1 di certo significato patologico. Che significa? Che non ha ereditato questo difetto dai suoi genitori; ha una malattia genetica rara, anzi rarissima, la stessa dottoressa non ne aveva mai sentito parlare, tant’è che azzardò a dirci che forse eravamo il primo caso in Italia su una trentina di casi diagnosticati al mondo…una vera doccia fredda, un pugno allo stomaco… I genitori “e quindi cosa possiamo fare???”… La dottoressa: “Niente, non si può fare nulla di più di quello che non state già facendo con riabilitazione e terapia farmacologica…non c’è cura, ma non dovrebbe essere una malattia degenerativa…”.

Facendo delle ricerche in rete i genitori decidono di farsi poi seguire da una dottoressa napoletana, co-autrice di alcuni articoli scientifici sul Sungap1 e grazie a lei, e anche con l’aiuto dei social, scoprono che ci sono altri casi in Italia, seppur pochissimi, e addirittura una neonata associazione di famiglie.

Finché non è arrivata la diagnosi certa, si è sempre sperato che fosse qualcosa di non congenito, di risolvibile nel tempo. Poi è arrivata la doccia fredda: malattia RARA… ovviamente pensi “se RARA, perché proprio a me… a noi!!!!”. Angoscia per il presente e ancor di più per il futuro. Consapevolezza che la vita non sarebbe stata come quella degli “altri”, non sarebbe più stata, neanche lontanamente, la vita che avevi sperato e progettato durante gli anni degli studi universitari e quando hai deciso di costruire una nuova famiglia. Soprattutto tanta angoscia e tristezza per questa figlia che non avrebbe mai avuto una vita “normale”, che non può esprimersi e comprendere il mondo come gli altri, che non sa chiedere aiuto… che nemmeno sai cosa sente, se ha percezione del male e del dolore, a parte tanta evidente frustrazione. Paura per la cattiveria dei compagni di scuola, della società…

Paura per questa “bestia nera” chiamata EPILESSIA, paura che prima o poi possa coglierci di sorpresa una crisi, di quelle brutte, di quelle convulsive, che non a caso le chiamano di “grande male”; paura di non saperla gestire, paura che possa provocare ancor più danni e permanenti…

Sensi di colpa anche per il fratellino, che malgrado già da bambino dovrà fare i conti la disabilità “riflessa” e forse anche lui provare la cattiveria della gente e fare anche lui grandi rinunce. Ma anche speranza che questo fratellino possa da grande prendersi cura della sorella, quando i genitori non ci saranno più o non saranno più in grado.

Laura è comunque una bambina molto solare con chiunque sappia come prenderla. Frequenta molto volentieri le sedute di riabilitazione (psicomotricità, logopedia, fisioterapia) e la scuola dell’infanzia: arriva e va via con il sorriso ed è molto amata dai suoi compagni di classe.

Le principali problematiche di Laura sono oggi legate alla mancanza di autonomie (motoria, controllo sfinterico, alimentazione, igiene personale), invece acquisite dai coetanei, all’inserimento nel contesto scuola dell’infanzia

Laura al momento è purtroppo farmacoresistente. Ha generalmente migliorie nell’immediatezza di modifiche alla terapia farmacologica, ma poi subentra una sorta di assuefazione e le crisi epilettiche aumentano di frequenza nuovamente.

La speranza della famiglia di Laura è quella di trovare una terapia (farmacologica o genica) che ripristini il deficit di questa benedetta proteina Syngap1. Verosimilmente questa cura potrebbe (forse) arrivare fra una decina di anni stando alle proiezioni speranze del gruppo di ricerca americano (SRF). Sicuramente questa cura “tardiva” non regalerebbe la normalità ai nostri pazienti, in quanto i ritardi accumulati – specie per l’età evolutiva – non sono certamente recuperabili, ma quanto meno probabilmente si migliorerebbero le funzionalità cognitive e quindi la qualità di vita. Sarebbe auspicabile che l’Italia si allineasse ad altri Paesi, rendendo fruibili farmaci – qui non commercializzati – per la cura dell’epilessia.

L’ulteriore speranza è quella di ricevere maggiore assistenza sanitaria e sociale per le famiglie come quella di Laura che vivono un’odissea quotidiana ma che non perdono mai il sorriso per le piccole gioie di ogni giorno.